Onorevoli Deputati! - La tutela dell'ambiente è stata riconosciuta come principio immanente all'ordinamento sia dalla Corte costituzionale che dalla Corte di cassazione. Il giudice delle leggi, già con la sentenza n. 210 del 28 maggio 1987, ha ricompreso nell'ambiente tutto ciò che garantisce e assicura la preservazione della «persona umana in tutte le sue estrinsecazioni», in questo modo riconducendolo nella sfera dei diritti fondamentali della persona.
      La Corte, in particolare, rinviene un ancoraggio costituzionale alla tutela dell'ambiente nel sistema normativo che emerge dal secondo comma dell'articolo 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica «Tutela il paesaggio», e dalla disciplina contenuta nell'articolo 32 della Costituzione, che tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e della collettività.
      Recentemente, con la sentenza n. 62 del 2005, il giudice delle leggi ha ribadito che «l'ambiente non è una materia in senso tecnico, ma un valore costituzionale». La stessa Corte, con la sentenza n. 641 del 1987, ha inoltre riconosciuto nell'ambiente «un bene immateriale che ha rilevanza giuridica soltanto per il riconoscimento contenuto nella stessa legge n. 349 del 1986 e che rientra fra le "res communia omnium" (...) unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali

 

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può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell'insieme, sono riconducibili ad unità.
      Il fatto che l'ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l'ordinamento prende in considerazione.
      L'ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un "habitat" naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (articoli 9 e 32 Costituzione), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto».
      La Corte ha poi aggiunto che «vi sono, poi, le norme ordinarie che, in attuazione di detti precetti, disciplinano ed assicurano il godimento collettivo ed individuale del bene ai consociati; ne assicurano la tutela imponendo, a coloro che lo hanno in cura, specifici obblighi di vigilanza e di interventi. Sanzioni penali, civili ed amministrative rendono la tutela concreta ed efficiente. L'ambiente è, quindi, un bene giuridico in quanto riconosciuto e tutelato da norme. Non è certamente possibile oggetto di una situazione soggettiva di tipo appropriativo: ma, appartenendo alla categoria dei cosiddetti "beni liberi", è fruibile dalla collettività e dai singoli».
      La stessa Carta fondamentale, all'articolo 117, secondo comma, lettera s), nel riservare alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», riconosce esplicitamente la valenza costituzionale di tali beni.
      Non vi è dubbio pertanto che l'ambiente, come bene giuridico di rilievo costituzionale, possa essere oggetto di tutela penale contro comportamenti che possano comprometterne l'esistenza e l'equilibrio.
      Sotto questo profilo risulta ormai diffusamente avvertita, in sede sia nazionale che europea, l'insufficienza di un presidio sanzionatorio in materia di tutela dell'ambiente imperniato su sole fattispecie contravvenzionali.
      Il Consiglio d'Europa adottò a Strasburgo, il 4 novembre 1998, la Convenzione (sottoscritta dall'Italia il 6 novembre 2000, ma non ratificata) sulla protezione dell'ambiente attraverso la legge penale, sulla cui falsariga è stata successivamente adottata la decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea 2003/80/GAI, del 27 gennaio 2003. Tale decisione quadro, su ricorso della Commissione europea, è stata annullata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee il 13 settembre 2005 (causa C-176/03), non con riferimento a profili di merito, ma perché la materia della protezione dell'ambiente è stata ritenuta di competenza comunitaria, e non di «terzo pilastro».
      La recente proposta di direttiva sulla tutela penale dell'ambiente riprende, con degli aggiustamenti, il testo della decisione quadro, cui ha aggiunto il delitto di deterioramento di un habitat protetto.
      Anche a livello nazionale l'esigenza di disciplinare, in sede codicistica, i delitti ambientali, è diffusamente condivisa. Già nel 1998 fu istituita, nell'ambito della cosiddetta «Commissione ecomafia» istituita dal Ministro dell'ambiente, una sottocommissione, presieduta dal professor Adelmo Manna, la quale produsse una bozza di articolato volto ad introdurre nel libro secondo del codice penale il titolo VI-bis, rubricato «Delitti contro l'ambiente»; un tentativo di codificazione venne altresì effettuato nell'ambito della Commissione per la riforma del codice penale presieduta dal dottor Carlo Nordio, così come sin dalla XIV legislatura sono stati presentati in Parlamento numerosi progetti di legge in proposito.
      La predisposizione di una disciplina sanzionatoria complessiva, in grado di assicurare una specifica tutela penale per l'ambiente attraverso novelle al codice penale, si iscrive pertanto in una tendenza di sistema ormai consolidata.
 

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      In considerazione della molteplicità degli aspetti di cui il bene giuridico «ambiente» si compone, si è ritenuto di non fornire una definizione del bene tutelato valida ai fini penali, così come non si è ritenuto di definire la nozione di «ecosistema». Con tale locuzione si definisce, in genere, un ambito più circoscritto rispetto al concetto di ambiente, per indicare una situazione di equilibrio naturale autonomo rispetto ad altri ecosistemi; l'ambiente, invece, ricomprende, secondo la definizione più accreditata, non solo il complesso delle situazioni di naturalità, ma anche il complesso costruito dall'uomo, suscettibile di tutela non solo per i suoi aspetti naturali ed economici, ma in quanto elemento qualificante la realizzazione di un cosiddetto «sviluppo sostenibile».
      Peraltro, occorre precisare che si è optato di non disciplinare, in questa sede, le condotte illecite che possano arrecare danno o pericolo concreto al paesaggio o ai beni culturali in considerazione dell'autonomia sistematica di tali beni pur nell'ambito del bene «ambiente», come ha evidenziato la predisposizione, prima di un apposito testo unico, il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e, successivamente, del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; essi potranno comunque costituire oggetto di un successivo autonomo e sistematico intervento legislativo.
      Nella redazione del presente disegno di legge sono state seguite linee guida mutuate in larga parte dagli strumenti normativi comunitari e sovranazionali.
      In primo luogo, si è scelto di non riservare la tutela penale dell'ambiente al solo ambito codicistico. È stato ritenuto, infatti, che le contravvenzioni meramente «formali» (mancanza di autorizzazione o violazione delle prescrizioni contenute nella stessa), nonché i reati di cosiddetto «pericolo astratto» (superamento di soglie di inquinamento predeterminate dalla legge), debbano continuare, per la loro stretta prossimità con la normativa di carattere tecnico, a essere disciplinate dalla normativa extracodicistica in materia di ambiente e segnatamente dal cosiddetto «codice dell'ambiente» (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), riservandosi al codice penale la materia dei delitti, colposi o dolosi, di pericolo concreto o di danno. Questa soluzione appare in maggiore sintonia con un codice penale incentrato sul rigoroso rispetto del principio di offensività del reato e coerente con le indicazioni provenienti dall'Unione europea.
      In secondo luogo, si è optato di strutturare i reati in ragione del crescente grado di offesa al bene giuridico tutelato: dal pericolo concreto al danno, fino al «disastro ambientale».
      In terzo luogo, si è scelto di riconoscere ai delitti introdotti natura dolosa, prevedendo poi la punibilità di talune fattispecie di reato a titolo di colpa, per coprire le varie realtà fenomeniche.
      Sul punto, occorre sottolineare come la citata proposta di direttiva imponga la punibilità almeno della «colpa grave», ferma restando la possibilità per gli Stati membri di perseguire penalmente anche i reati commessi per semplice negligenza.
      Il nostro ordinamento penale ignora il concetto di «colpa grave» come limite interno per la punibilità di determinate condotte: l'unica norma che allo stato consente una valutazione «dosimetrica» della colpa è l'articolo 133 del codice penale, secondo il quale, nell'irrogare la pena in concreto, il giudice deve tenere conto «dell'intensità del dolo e del grado della colpa», operazione in cui si potrà tenere conto anche del livello di «scienza ed esperienza» specifiche dell'autore del reato. Del resto, l'opportunità di inserire nel codice una definizione di colpa grave e la difficoltà di un'enucleazione dei suoi contenuti concreti hanno costituito oggetto di lungo dibattito in seno alla Commissione di riforma del codice penale presieduta dal professor Giuliano Pisapia, proprio per l'estrema delicatezza della tematica. Si ritiene pertanto che, in assenza di una definizione espressa della stessa da parte del legislatore, non sia possibile, allo stato, prevedere la punibilità a titolo di colpa grave.
 

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      Si è infine ritenuto di introdurre, all'interno del libro secondo, titolo VIII, capo I, del codice penale, l'articolo 498-bis, norma che tutela l'ambiente non già sotto il profilo squisitamente naturalistico, ma come bene economico, la cui compromissione ne impedisce la fruizione da parte della collettività.
      Da ultimo, la responsabilità delle persone giuridiche, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, è stata ampliata anche con riferimento ai delitti in materia di ambiente.
      Per le fattispecie contravvenzionali previste, in primo luogo, dal citato codice dell'ambiente, si prevede (conferendo a tale fine apposita delega al Governo) la possibilità di definizione anticipata secondo il meccanismo prescrizioni/pagamento in misura ridotta, sperimentato con successo dal decreto legislativo n. 758 del 1994, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, prevedendosi peraltro l'esclusione dalla procedura per le contravvenzioni aventi ad oggetto sostanze pericolose ovvero connotate da maggiore pericolosità.
      Per quanto riguarda i rapporti tra i reati oggetto del presente disegno di legge e il preesistente quadro normativo, è stata prevista una delega al Governo per coordinare le nuove sanzioni con le precedenti, con l'abrogazione delle norme incompatibili previgenti e apportando, ove necessario, i necessari aggiustamenti alle fattispecie penali introdotte.
      È chiara peraltro la scelta secondo la quale quando il medesimo fatto sarà punito in via contravvenzionale in ragione del pericolo astratto cagionato e come fattispecie delittuosa (come reato di pericolo concreto o di danno), si applicherà solo la seconda disposizione in ragione del principio cosiddetto di «assorbimento».
      Si prevede inoltre, quale principio di delega, che non si applichi ai delitti introdotti il principio di specialità delle sanzioni amministrative di cui all'articolo 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
      Il testo proposto si compone di cinque articoli.
      L'articolo 1, comma 1, reca modifiche al codice penale.
      La lettera a) prevede l'introduzione nel libro secondo del codice penale del titolo VI-bis, rubricato «Dei delitti contro l'ambiente», costituito dagli articoli da 452-bis a 452-sexies decies, recanti le nuove fattispecie criminose.
      L'articolo 452-bis, rubricato «Inquinamento ambientale», punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro chiunque illegittimamente immette nell'ambiente sostanze o energie cagionando o contribuendo a cagionare il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante:

          1) delle originarie o preesistenti qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell'aria;

          2) per la flora o per la fauna selvatica.

      Nella formulazione della norma si è ritenuto opportuno distinguere le varie componenti di cui il bene ambiente si compone, onde evitare sovrapposizioni e confusioni normative. La locuzione «illegittimamente» esprime in modo sintetico tutti i casi in cui l'emissione non sia consentita dalla normativa o da provvedimenti dell'autorità (la citata proposta di direttiva utilizza la locuzione «illecitamente» per indicare «la violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o decisioni della Comunità, degli Stati membri o di un'autorità competente finalizzate alla protezione dell'ambiente»).
      Il successivo articolo 452-ter, rubricato «Danno ambientale. Pericolo per la vita o per l'incolumità personale», punisce l'autore del fatto di cui all'articolo 452-bis con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da 20.000 a 60.000 euro, se la compromissione durevole o rilevante si verifica. La citata proposta di direttiva non definisce la nozione di compromissione (il termine ivi utilizzato è quello di «deterioramento») rilevante, lasciando agli Stati membri il compito di definire l'ambito della «rilevanza». Nel testo si riprende sostanzialmente la definizione contenuta

 

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nel ricordato «progetto Nordio», incentrata non tanto sull'attività in sé quanto sugli effetti della stessa sull'ambiente. La compromissione, quindi, si definisce rilevante «quando la sua eliminazione risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali».
      Si prevede inoltre che, se dall'illegittima immissione deriva il pericolo concreto per la vita o per l'incolumità delle persone, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni.
      Il successivo articolo 452-quater (Disastro ambientale) prevede che chiunque illegittimamente immette nell'ambiente sostanze o energie cagionando o contribuendo a cagionare un disastro ambientale è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da 30.000 a 250.000 euro.
      Si definisce disastro ambientale il fatto che, «in ragione della rilevanza oggettiva o dell'estensione della compromissione ovvero del numero delle persone offese o esposte a pericolo, offende la pubblica incolumità».
      La definizione proposta accoglie il contributo fornito dalla giurisprudenza. La Corte di cassazione, sezione III, sentenza n. 19505 del 27 aprile 2004 (cosiddetta «sentenza Porto Marghera»), ha infatti chiarito come il concetto di disastro «non può ridursi ad un concetto che racchiuda solo eventi di vasta portata o tragici. Che così non è risulta dalla complessità della questione poiché il disastro è un elemento dei reati di danno ma connota anche i reati di pericolo ed in quest'ultimo caso la mancanza dell'evento-danno e l'assunzione della sola sua possibilità/probabilità come fattispecie costitutiva evidenzia il limite della "imponenza" e "tragicità" quale misura del disastro giuridicamente inteso. Anzi, proprio la qualità del bene giuridico tutelato (la pubblica incolumità) e la diffusa scelta della punibilità delle condotte generatrici anche del solo pericolo, che quindi anticipano la soglia della punibilità stessa fanno sussumere sotto la stessa norma situazioni di fatto tra loro molto diverse (...)».
      Anche la giurisprudenza di merito ha trattato specificamente il tema del disastro ambientale, fornendo indicazioni ermenutiche preziose. Secondo il tribunale di Venezia, sezione 01, sentenza 29 maggio 2002, «elementi costitutivi del reato di disastro innominato doloso (articolo 434 codice penale) sono la gravità e la diffusività degli eventi nell'ambito di una comunità, tali da porre concretamente in pericolo la pubblica incolumità, realizzati con comportamenti anche protratti nel tempo che hanno, ciascuno con efficienza causale, determinato la situazione di rischio». Per il tribunale di Massa, sentenza 20 maggio 1993, «circa la configurabilità della specifica nozione di disastro, ed il relativo elemento psicologico del reato, devesi ritenere sufficiente una condotta colposa - sia commissiva che omissiva - che si ponga in rapporto di causalità efficiente, o anche di mera concausalità, con un "evento di danno" che colpisca collettivamente - con effetti eccezionalmente gravi, o complessi ed estesi - cose e persone, ingenerando pubblica apprensione; non è altresì da ritenere necessario che dal disastro sia conseguito un effettivo danno alla pubblica incolumità, in quanto il pericolo corso dalla stessa collettività, quale conseguenza di un disastro, appare circostanza sufficiente ai fini di integrare il delitto».
      Come appare evidente, ciò che contraddistingue il reato di disastro non è la sola imponenza del fenomeno, quanto gli effetti di tale imponenza sulla pubblica incolumità, che dalla portata dello stesso risulta offesa, ciò che giustifica anche la punizione di situazioni di rischio.
      Accanto alla nozione «generalpreventiva» di disastro, si è tuttavia ritenuto di prevedere, quale autonoma e alternativa conseguenza, una definizione più propriamente riferita all'ambiente naturale, prevedendosi che «La stessa pena si applica se il fatto cagiona un'alterazione irreversibile dell'equilibrio dell'ecosistema» (articolo 452-quater, terzo comma), e ciò
 

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indipendentemente dal verificarsi di una lesione per la pubblica incolumità.
      Il successivo articolo 452-quinquies (Alterazione del patrimonio naturale, della flora o della fauna selvatica) sanziona condotte diverse da quelle di immissione, che pur tuttavia si connotano per la lesione del bene giuridico ambiente.
      Si prevede quindi che sia punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 2.000 a 20.000 euro chiunque illegittimamente:

          1) sottrae o danneggia minerali o vegetali cagionando o contribuendo a cagionare il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante per la flora o per il patrimonio naturale;

          2) sottrae animali ovvero li sottopone a condizioni o a trattamenti tali da cagionare il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante per la fauna selvatica.

      Nei casi previsti dal primo comma, se la compromissione si realizza le pene sono aumentate di un terzo.
      L'articolo 452-sexies contiene due circostanze aggravanti, prevedendo che nei casi previsti dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater e 452-quinquies la pena è aumentata di un terzo se la compromissione o il pericolo di compromissione dell'ambiente:

          1) ha per oggetto aree naturali protette o beni sottoposti a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico;

          2) deriva dall'immissione di radiazioni ionizzanti.

      Il successivo articolo 452-septies (Traffico illecito di rifiuti) punisce con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 10.000 a 30.000 euro chiunque illegittimamente, con una o più operazioni, cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, tratta, abbandona o smaltisce ingenti quantitativi di rifiuti.
      Se la condotta di cui al primo comma ha per oggetto rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da due a sei anni e della multa da 20.000 a 50.000 euro.
      Se la condotta di cui al primo comma ha per oggetto rifiuti radioattivi, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a otto anni e della multa da 50.000 a 200.000 euro.
      Le pene di cui ai commi primo, secondo e terzo sono aumentate di un terzo se dal fatto deriva il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante:

          1) delle originarie o preesistenti qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell'aria;

          2) per la flora o per la fauna selvatica.

      Se dal fatto deriva il pericolo concreto per la vita o per l'incolumità delle persone, le pene previste dal primo, secondo e terzo comma sono aumentate fino alla metà e l'aumento non può essere comunque inferiore a un terzo.
      L'articolo 452-octies sanziona il traffico di materiale radioattivo o nucleare e l'abbandono di materiale radioattivo o nucleare. Si prevede infatti che sia punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 250.000 euro chiunque illegittimamente cede, acquista, trasferisce, importa o esporta sorgenti radioattive o materiale nucleare. Alla stessa pena soggiace il detentore che si disfa illegittimamente di una sorgente radioattiva.
      La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se dal fatto deriva il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante:

          1) delle originarie o preesistenti qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell'aria;

          2) per la flora o per la fauna selvatica.

      Se dal fatto deriva il pericolo concreto per la vita o per l'incolumità delle persone, si applica la pena della reclusione da tre

 

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a dieci anni e della multa da 15.000 a 100.000 euro.
      L'articolo 452-novies (Delitti ambientali in forma organizzata) mira a punire le cosiddette «ecomafie». Esso si compone di due commi. Il primo è volto ad aggravare di un terzo le pene per l'associazione per delinquere «semplice» (416 del codice penale) quando essa è diretta, anche in via non esclusiva o prevalente, allo scopo di commettere taluno dei reati di cui al presente titolo.
      Il secondo, invece, prevede che quando taluno dei reati previsti dal nuovo titolo è commesso avvalendosi delle condizioni di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis ovvero avvalendosi dell'associazione di cui al medesimo articolo 416-bis del codice penale, le pene previste per ciascun reato sono aumentate fino alla metà e l'aumento non può comunque essere inferiore a un terzo.
      L'articolo 452-decies (Frode in materia ambientale) prevede che chiunque, al fine di commettere taluno dei delitti previsti nel nuovo titolo, ovvero di conseguirne l'impunità, falsifica in tutto o in parte, materialmente o nel contenuto, la documentazione prescritta ovvero fa uso di documentazione falsa è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa fino a 10.000 euro.
      Se la falsificazione concerne la natura o la classificazione di rifiuti, si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 5.000 a 20.000 euro.
      L'articolo 452-undecies (Impedimento al controllo) prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il titolare o il gestore di un impianto che, negando l'accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stati dei luoghi, impedisce o intralcia l'attività di controllo degli insediamenti o di parte di essi ai soggetti legittimati è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
      L'articolo 452-duodecies (Delitti colposi contro l'ambiente) prevede che, se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-quinquies, 452-septies e 452-octies è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite della metà.
      L'articolo 452-ter decies (Pene accessorie. Confisca) prevede che la condanna per alcuno dei delitti previsti dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-quinquies, 452-septies e 452-octies comporta, per tutta la durata della pena principale:

          1) l'interdizione temporanea dai pubblici uffici;

          2) l'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese;

          3) l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

      La condanna per alcuno dei delitti previsti dal nuovo titolo, ad eccezione degli articoli 452-decies e 452-quater decies, terzo comma, comporta la pena accessoria della pubblicazione della sentenza penale di condanna.
      Alla condanna ovvero all'applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui all'articolo 452-septies consegue in ogni caso la confisca dei mezzi e degli strumenti utilizzati, ai sensi dell'articolo 240, secondo comma.
      Alla condanna ovvero all'applicazione di pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui all'articolo 452-octies consegue in ogni caso la confisca della sorgente radioattiva o del materiale nucleare. La sorgente o il materiale nucleare confiscati sono conferiti all'operatore nazionale ovvero al gestore di un impianto riconosciuto secondo le modalità definite dalla normativa tecnica nazionale.
      L'articolo 452-quater decies (Bonifica e ripristino dello stato dei luoghi) dispone che, in caso di condanna ovvero di applicazione della pena ai sensi dall'articolo 444 del codice di procedura penale, il giudice ordina la bonifica, il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l'esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all'articolo 197.

 

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      L'eventuale concessione della sospensione condizionale della pena è in ogni caso subordinata all'adempimento degli obblighi di cui al primo comma.
      Il terzo comma prevede una specifica sanzione penale (reclusione da uno a quattro anni) nei confronti di chi non ottempera alle prescrizioni imposte dalla legge, dal giudice ovvero da un ordine dell'autorità per il ripristino, il recupero o la bonifica dell'aria, delle acque, del suolo, del sottosuolo e delle altre risorse ambientali inquinate.
      Il rigore sanzionatorio che ispira tutta l'iniziativa legislativa è temperato da due disposizioni.
      L'articolo 452-quinquies decies (Ravvedimento operoso) prevede che le pene stabilite per i delitti previsti dal nuovo titolo sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, nell'individuazione o nella cattura di uno o più autori di reati, nell'evitare la commissione di ulteriori reati e nel consentire la sottrazione di risorse rilevanti per la commissione di delitti.
      L'articolo 452-sexies decies (Causa di non punibilità) prevede una specifica causa di non punibilità per l'autore di taluno dei fatti previsti dal nuovo titolo che volontariamente rimuova il pericolo ovvero elimini il danno da lui provocato prima che sia esercitata l'azione penale.
      La lettera b) del comma 1 dell'articolo 1 introduce nel libro secondo, titolo VIII, capo I, del codice penale, l'articolo 498-bis (Danneggiamento delle risorse economiche ambientali), il quale tutela il bene ambiente inteso in senso economico, punendo con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 20.000 a 50.000 euro la condotta di chi offende le risorse ambientali in modo tale da pregiudicarne l'utilizzo da parte della collettività, degli enti pubblici o di imprese di rilevante interesse.
      L'articolo 2 reca modificazioni al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, introducendo l'articolo 25-quinquies.1 (Reati ambientali).
      Si prevede che, in relazione alla commissione di taluno dei delitti previsti dal titolo VI-bis del libro secondo del codice penale, si applichino all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

          a) per i delitti di cui agli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quinquies, 452-septies, primo e secondo comma, e 452-octies, primo comma, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote;

          b) per i delitti di cui agli articoli 452-quater, 452-septies, terzo, quarto e quinto comma, e 452-octies, secondo e terzo comma, la sanzione pecuniaria da trecento a mille quote.

      Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera b), si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 231 del 2001, per una durata non inferiore a un anno.
      Al comma 3 si dispone che, se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o di agevolare la commissione dei reati di cui agli articoli 452-septies e 452-octies del codice penale, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del medesimo decreto legislativo.
      L'articolo 3 conferisce delega al Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un decreto legislativo concernente il riordino, il coordinamento e l'integrazione delle disposizioni legislative concernenti illeciti penali e amministrativi in materia di difesa dell'ambiente e del territorio, nonché la previsione di una procedura di estinzione agevolata delle violazioni contravvenzionali e amministrative in materia di ambiente. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, nel

 

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rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla legge, il Governo può emanare disposizioni integrative o correttive del decreto legislativo.
      Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) abrogazione esplicita di tutte le norme incompatibili con quelle introdotte;

          b) disciplina del principio di specialità tra le sanzioni amministrative e le sanzioni penali introdotte dalla legge, nel senso che ai fatti puniti ai sensi del titolo VI-bis del libro secondo del codice penale si applichino soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di ambiente;

          c) previsione di una procedura di estinzione delle contravvenzioni e delle violazioni amministrative previste dalla normativa speciale in materia ambientale, fra cui le violazioni previste dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, da disciplinare in modo sostanzialmente analogo a quella degli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, con esclusione delle violazioni relative a sostanze pericolose ovvero delle fattispecie connotate da maggiore pericolosità.

      Nell'esercizio della delega, il Governo viene altresì autorizzato ad apportare alle fattispecie introdotte dagli articoli 1 e 2 della legge tutte le modifiche necessarie a coordinare l'intervento legislativo proposto con l'assetto normativo previgente al fine di evitare duplicazioni, lacune e sovrabbondanze, anche in conformità alla normativa europea eventualmente introdotta in materia di tutela penale dell'ambiente nel periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge e la data o le date di entrata in vigore del decreto o dei decreti legislativi.
      L'articolo 4 reca la cosiddetta «clausola di invarianza» della spesa, e pertanto non è stata redatta la relazione tecnica.
      L'articolo 5, comma 1, prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, mentre il successivo comma 2 precisa che le disposizioni contenute negli articoli 1 e 2 acquistano efficacia alla data di entrata in vigore del decreto legislativo emanato ai sensi dell'articolo 3, comma 1.